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Era ora! tutta l’umanità lo aspettava, i tempi erano maturi, non c’era che farlo, non si poteva più aspettare. Un’isituzione millenaria e apparentemente immobile come la chiesa se ne è accorta. Sicuramente nelle prossime ore i giornali di tutto il mondo pubblicherano interviste a Moser, Gimondi e Merckx e il pensiero non potrà non tornare ad Adriano Dezan che da anni non è più tra noi: chissà quanto ne sarebbe stato contento. Finalmente oggi, mercoledì 13 marzo 2013, i cardinali riuniti in conclave hanno eletto papa uno dei nostri: Bertoglio!

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14/07/2012. uscita numero 2. 55’17”. 20,74km a 22.3 km/h di media. rapporto 34×21 ritmo 110-120 pedalate/min.

che poi tutto questo non dice niente: quel che conta è la sensazione del sangue che torna a scorrere e il piacere dei muscoli delle gambe che ricominciano a lavorare. sensazione ben diversa dalla rilassante stanchezza di ore di nuoto o della pesantezza di due ore di camminata, magari zoppicando. la lotta col vento che non so se porterà un temporale o se spazzerà le nubi. intanto tenta di girarti il manubrio su cui la presa si fa man mano più forte, più decisa. i rettilinei e le ampie curve dove scorrere a incalzare il ritmo, senza mai cedere e senza mai farsi sopraffare. sudore e fiato, acqua e calore. vita che riprende.

Toc, toc, toc, toc, le scarpette fanno risuonare il rumore dei passi. riemergo dalla semioscurità del garage tenendo la bici per la sella, come insegnano certi triatleti. apro il cancello e mi fermo in strada, di fianco ad un auto parcheggiata. sono passati più di tre mesi. non posso trattenemi e nemmeno trattenere un sorriso: salgo in sella, aggancio i pedali con le tacchette delle scarpe e parto subito a pedalare col 34×21. rapporto agilissimo, da montagna. qui a milano è una pedalata senza sforzo che non sia quello di mulinare le gambe velocemente, smuovere le ginocchia, disincrostare le caviglie. e va così per venti chilometri. passo il naviglio e  percorro gli stradoni di estrema periferia del quartiere barona-s.ambrogio, tra casermoni popolari e risaie, dove avrei voluto vedere almeno un arrivo del giro d’italia: l’ultima volata, la maglia rosa e lo champagne ad annaffiare spettatori, ciclisti e passanti, asfalto casermoni e risaie. il ponte che da via gonin salta in una volta sola naviglio e ferrovia e quello della 95 li passo col 34×25, senza forzare e senza perdere mai il ritmo: ottanta? cento? centoventi al minuto? non lo so, la bicicletta non si fa coi numeri. le mie gambe non danno retta al fiato  che non riesce a seguirle e spesso allungano e mi staccano andandosene in fuga: le richiamo, mi ascoltano, rallentano  lasciandosi raggiungere, poi ripartiamo insieme. ancora per strada. ce ne è ancora tanta da fare.

Ieri sera ho recuperato il contachilometri della caduta di cui al post precedente. Ovviamente indicava il chilometro della caduta: 13.13.

La presolana, costa del vento, il muro di sormano, il ghisallo e poi la milano-arquata scrivia per rocca susella e pian dell’armà forse si o forse no e magari ancora una domodossola-sempione-domodossola-novara e chissà che altro… tanti progetti, che ora sto andando in forma ed è primavera… e poi basta una catena che salta, mi sbilancio, ma resto su per poco con l’orribile sensazione di pedalare a vuoto e nel vuoto, finchè la bici non s’inclina su un lato: il ginocchio striscia sull’asfalto, la tempia destra batte per terra e un dolore forte, acuto mi prende la caviglia sinistra. Una mattina al pronto soccorso di niguarda anzichè in ufficio ed ora eccomi qua: il piede sinistro steccato per almeno venti giorni, il ginocchio destro gonfio e incerottato che non si piega e due stampelle per muovermi per casa.  Pazienza, poteva andare peggio e comunque capita anche ai migliori : http://it.eurosport.yahoo.com/02042012/45/ciclismo-clavicola-rotta-cancellara-operato.html

Il lato più sconnesso e sassoso è sempre quello dove stai pedalando.

Se per esser fighi bastasse sgommare via emettendo rumorosamente dei gas maleodoranti… beh… non ho bisogno del motore

Caro Sindaco,
Come avrà già avuto modo di apprendere dalle notizie degli ultimi giorni, l’Italia si posiziona al terzo posto in Europa per mortalità in bicicletta. Negli ultimi 10 anni, ben 2.556  ciclisti hanno perso la vita sulle nostre strade ed è per porre freno a questa situazione che due settimane or sono abbiamo lanciato in Italia la campagna #salvaiciclisti con cui abbiamo chiesto al Parlamento italiano l’applicazione degli 8 punti del Manifesto del Times.
In questi i giorni il Parlamento sta facendo la propria parte ed una proposta di legge sottoscritta da (quasi) tutte le forze politiche è pronta per la presentazione alla Camera e al Senato. Senza il suo preziosissimo contributo di amministratore locale, però, anche la migliore delle leggi rischia di restare lettera morta ed è per questo che siamo a  chiedere la sua adesione alla campagna #salvaiciclisti   per il miglioramento della sicurezza dei ciclisti nella sua città.
Aderendo a #salvaiciclisti si impegnerà quindi a :
1.         Garantire l’applicazione a livello locale degli 8 punti del Manifesto del Times per le aree di competenza comunale,
2.        Formulare le opportune strategie per incrementare almeno del 5% annuo gli spostamenti urbani in bicicletta nei giorni feriali,
3.        Contrastare il fenomeno del parcheggio selvaggio (sulle strisce pedonali, in doppia fila, in prossimità di curve ed incroci, sulle piste ciclabili),
4.        Far rispettare i limiti di velocità stabiliti per legge e istituire da subito delle “Zone 30” e “zone residenziali” nelle aree con alta concentrazione di pedoni e ciclisti,
5.        Realizzare, qualora mancante, un Piano Quadro sulla Ciclabilità o Bici Plan,
6.        Monitorare e ridisegnare i tratti più pericolosi della città per la viabilità ciclistica di comune accordo con le associazioni locali,
7.        Redigere annualmente un documento pubblico sullo stato dell’arte nel proprio comune di competenza della viabilità ciclabile indicando i risultati dell’anno appena trascorso e gli obiettivi futuri,
8.        Dotare ogni strada di nuova costruzione o sottoposta ad interventi straordinari di manutenzione straordinari con un percorso ciclabile che garantisca il pieno comfort del ciclista,
9.        Promuovere una campagna di comunicazione per sensibilizzare tutti gli utenti della strada sulle tematiche della sicurezza,
10.      Dare il buon esempio recandosi al lavoro in bicicletta per infondere fiducia nei cittadini e per monitorare personalmente lo stato della ciclabilità nella sua città
È perché riteniamo che la campagna #salvaiciclisti  sia dettata dal buon senso e da una forte dose di senso civico che chiediamo un suo contributo affinché anche in Italia il senso civico e il buon senso prendano finalmente il sopravvento.
Chiunque volesse contribuire al buon esito di questa campagna può condividere questa lettera attraverso Facebook, attraverso il proprio blog o sito, attraverso Twitter utilizzando l’hashtag  #salvaiciclisti e, ovviamente, inviandola via mail al sindaco della propria città e ai sindaci delle città capoluogo di regione.
Puoi scaricare da qui la lista degli indirizzi mail delle città capoluogo:   lista.
Se non conosci l’indirizzo mail del tuo sindaco, puoi trovarlo a questo sito:   link.
Il  gruppo su Facebook sta aspettando nuove idee per continuare la campagna.
 
Hanno  lanciato la seconda fase della campagna #salvaiciclisti:
 
1.         piciclisti.wordpress.com
2.        amicoinviaggio.it
3.        rotafixa.it
4.        biascagne-cicli.it 
5.        nuovamobilita.wordpress.com
6.        mazzei.milano.it
7.        www.ediciclo.it
8.        www.ciclomundi.it
9.        festinalente.ztl.eu
10.      milanonmybike.blogspot.com
11.       areabici.blogspot.com
12.      greenMe.it (www.greenme.it)
13.      www.bicizen.it
14.      Fiab-onlus.it
15.      LifeGate.it
16.      lifeintravel.it
17.      Rotazioni
18.      www.raggidistoria.com
19.      Associazione ciclonauti
20.     riky76omnium.wordpress.com
21.      34×26.wordpress.com
25.      http://biciebasta.com

Visto che oggi è il mio quarantacinquesimo compleanno rispolvero un vecchio post, tanto per tornare dove sono partito.

Era il 2004, giusto una settimana dopo il suo novantaseiesimo compleanno, quando angelo se ne andò. il corpo rimasto li, ricaduto indietro sul letto mentre si alzava… chissa’, forse si era sognato di poter salire ancora una volta sulla sua bicicletta, quella con le ruote di legno. gliel’aveva messa insieme suo fratello. o meglio, uno dei suoi fratelli: in tutto erano otto figli. vivevano al vigentino, sulla via ripamonti… no, non milano: vigentino, come precisava sempre agli impiegati dell’anagrafe quando rifaceva la carta d’identità. e aveva ragione: nei primi del ’900  faceva comune a se ed era fuori della cinta daziaria di milano. ma ecco che nella mia mente le immagini prendono una luce e una tonalita’ particolare: ogni volta che mi raccontava queste storie, vedevo tutto in una luce forte, solare, ma monocromatica, di tono seppia chiaro.  i campi, la cooperativa socialista, i fratelli e le sorelle, i piedi scalzi … a otto anni prese il tifo. guarì, ma per qualche tempo rimase piuttosto debilitato e intontito. per aiutarlo a riprendersi suo padre lo portò al macello per bere il sangue di toro: ancora caldo era nauseante e lo risputo’ quasi tutto. Non so se  la “cura” ebbe il suo effetto, ma ormai per recuperare la scuola era troppo tardi: con otto figli da mantenere, il padre  che faceva il muratore, non poteva permettersi di tenere a scuola un figlio che non andasse bene e lo porto’ con se a fare il “magutt”, il manovale. era un lavoro molto duro per lui: le cataste di mattoni da portare su per le impalcature per tutto il giorno, pesavano troppo. faticava a tirare sera e quando tornava a casa era sopraffatto dalla stanchezza. finì per andare a bottega da un “borsinatt”, come diceva lui,  a fare le borse: quello che sara’ il lavoro di tutta la sua vita. a quei tempi era inevitabile che una bicicletta portasse sulla strada di mille avventure, ma anche di qualche disavventura, come quella volta che teneva al guinzaglio full, il cane dalla cooperativa: questo tuffandosi nell’acqua del “bolagnus”, un grosso canale che raccoglieva le acque in uscita da porta romana, se lo trascinò dietro. sapeva a malapena stare a galla, ma fortunatamente qualcuno vide la scena e lo tirò subito fuori dal fosso. o ancora, come quella calda sera estiva all’osteria in compagnia degli amici: il vino rinfrescato nell’acqua del fontanile andava giù bene… troppo bene…  insomma, sbronzo com’era e al buio, non dovette esser facile pedalare fino a casa; ma allora di automobili ce ne erano ben poche. tutte le mattine si faceva una pedalata fino a pavia e poi tornava e andava al lavoro. o almeno cosi’ mi aveva sempre raccontato: confesso che qualche dubbio in proposito mi è sempre rimasto… mah… forse non arrivava proprio fino a pavia… insomma… tra andata e ritorno ci sarebbero volute almeno due ore e mezza se non di più… mah! comunque un certo allenamento ce l’aveva.  una volta parti’ in gruppo coi suoi amici, per andare a trovare un fratello in cura a taceno, in valsassina. per buona parte del viaggio fu accompagnato da una banana che proprio non voleva saperne di andare oltre lo stomaco. piu’ entusiasmante fu senz’altro il viaggio in riviera. stavolta andavano a trovare il fratello di un’altro del gruppo, che era militare in liguria. va tenuto conto che la strada era sterrata e la bicicletta pesante e con due soli rapporti: quello da pianura, da una parte della ruota e quello da salita sull’altro lato. per cambiare “bastava” scendere, smontare la ruota, girarla e rimontarla: proprio niente a che vedere con le bici attuali. prima di ovada sfruttarono la scia di un camion. poi pero’, in queste condizioni risalire il turchino fu un’impresa non da poco. ma guarda il mondo quant’è piccolo: una volta in discesa, non ti va ad incontrare proprio il suo “padrone”? “cosa fa qui, non dovrebbe essere a lavorare?” gli domanda quello. ma lui subito “mi? lu s’el fàa chi!” il fatto è che il signorotto, dopo aver lasciato la moglie a milano a mandare avanti la bottega se ne stava andando in riviera con altra dolce quanto clandestina compagnia. così, vistosi scoperto, il marito infedele dovette far buon viso a cattivo gioco e lasciar perdere. passarono gli anni venti e gli anni trenta e angelo mise su famiglia. poi arrivò la guerra. l’8 settembre del ’43 era ancora in liguria, a genova a far la guardia all’ansaldo. guardia? aveva il moschetto 98, quello della prima guerra, ma senza munizioni: se anche fosse arrivato qualche nemico cosa avrebbe potuto fare? veramente quel giorno non arrivò neppure il cambio. dopo un po capì che doveva esser successo qualcosa e andò a cercare l’altro che montava con lui. che facciamo? decisero di tornare al corpo di guardia. qui ebbero una sorpresa: tutti gli altri, toltesi le divise si erano messi la tuta degli operai dell’ansaldo. gli spiegarono come stavano le cose e che bisognava filarsela per non farsi beccare dai tedeschi. ma per loro due non erano rimaste tute. andarono verso la città e si separarono. poco dopo angelo si sentì chiamare da una donna: militare, militare, venga qui! -per cortesia signora, non mi faccia scherzi, che ci ho famiglia! -no,no, faccio così perche’ anch’io ho un figlio militare e spero che qualcuno faccia lo stesso con lui. in effetti la buona donna gli diede degli abiti civili. una volta rivestitosi, andò alla stazione, dove vide i suoi commilitoni in tuta da operai, tutti catturati dai tedeschi e incolonnati per esser portati via. sali’ sul treno per milano. poco dopo un soldato tedesco gli punto’ una pistola enorme sotto il naso dicendo “komm!”. “no, mi vo no a com, vo a milan!”. si alzò come per scendere, ma vedendo fuori la colonna dei prigionieri e che quel soldato non lo stava controllando, scantonò nell’altro vagone. finalmente dopo altri controlli il treno partì. nell’italia del dopoguerra e del “boom economico”, per lui ci non ci fu altro che lavorare. il padrone per cui faceva borsette lo obbligo’ a mettersi in proprio. cosi’, al posto della vecchia bicicletta a pedali ne prese una a motore, per esser piu’ rapido nel giro delle consegne. d’altronde avere una famiglia da mantenere voleva dire aver tempo solo per lavorare. fino alla pensione,  agli anni settanta. la luce seppia chiaro che ha intonato finora il ricordo dei suoi racconti trascolora verso il bianconero di una fotografia. angelo e’ al parco, seduto su una panchina tra i suoi due nipotini. con lo sguardo sorridente e fiero, tiene la mano di mio fratello, che era seduto alla sua destra, mentre a sinistra ci sono io, sulla biciclettina che ci aveva regalato e che usavamo a turno: quasi un passaggio di testimone da nonno a nipoti.  quando succedeva qualcosa di incomprensibile la bicicletta smetteva di funzionare e i pedali giravano a vuoto, aspettavamo con ansia il suo arrivo: quasi come un rito capovolgeva la bicicletta sul tavolo, toglieva una ad una le viti del carter fino ad aprirlo, rimetteva al suo posto la catena caduta, richiudeva il tutto e ci riconsegnava la due ruote di nuovo funzionante. qualche anno dopo provo’ a risalire in bicicletta, ma quel flusso colorato e fumante di auto che gli sembrava dilagare tutt’intorno lo spavento’ e si arrese definitivamente. si puo’ capire: nacque nel 1908, quando c’erano ancora l’imperatore d’austria e lo zar di russia ed è arrivato fino al 2004, l’epoca in cui, in pochi secondi, si puo’ comunicare con l’altra parte del mondo. le possibilita’ di adeguarsi a cambiamenti tanto profondi e rapidi vanno sicuramente al di la della portata della semplice vita di un essere umano.

Infilai la serpentina rossa in cui si snoda la pista ciclabile che s’inoltra tra i lucidi palazzi a vetri e acciaio della zona dirigenziale: mi aveva sempre divertito pedalare su quell’alternanza di brevi rettilinei, curve secche e slalom tra paletti e tombini a raso. Arrivai così al primo angolo retto che punta verso il palazzo della società dei telefoni e, dopo pochi metri, rigirai sull’altro angolo retto che ti manda parallelo al suo ingresso. Arrivato li davanti, senza fermarmi rallentai e svoltai ancora di un angolo retto puntando sulla porta automatica a vetri che si aprì  lasciandomi entrare nella hall in sella al mio destriero d’acciaio. Pedalai dritto dritto verso il bancone della portineria con lo sguardo fisso sul suo volto che emergeva da dietro il bancone stesso : alzò la testa e scostando con una mano il brillante caschetto nero dei suoi sottili capelli neri, sgranò i grandi occhi scuri nello stupore di vedere un ciclista li dentro.  Arrivato di fronte a lei mi fermai col piede a terra e presi dallo zainetto una rosa rossa e gliela porsi depositandola sul tavolo. Il filo rosso delle sue labbra si aprì ai bianchi denti nello  stesso sorriso con cui la falce di luna crescente illumina il cielo quasi primaverile di queste serate di fine febbraio. La sua voce velata modulò un “oh grazie… per me?”. Mi limitai a ricambiare il sorriso e mi girai pedalando per usc… il fragore dell’urto contro i vetri della porta automatica che stavolta era rimasta chiusa sfumò nello sguardo spazientito della guardia che venne a prendermi mentre ero steso supino con  braccia e gambe aperte e la bicicletta nera caduta in mezzo ai frantumi diamantati della porta a vetri che non esisteva più.

dALL’INIZIO DI QUEST’ANNO, PER IL TRAFFICO A MOTORE SI CONTANO GIA’

http://www.achitocca.it/

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"Gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni produttive solo alla velocità della bicicletta" (I.Illich-Elogio della bicicletta)